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a quelle del Veltro allegorico di Dante, od ampliando queste ultime: «Or chi mai potrebbe volere, che Verona si dovesse poeticamente ricordare, dicendola situata... tra una provincia intera, come quella di Montefeltro, ed una delle non principali cittá della Venezia, come Feltre?». Mentre «. ogni luogo di quella provincia può con molta proprietá ed eleganza da ogni qualunque rimatore dirsi collocato tra Feltro e Feltro, nella stessa guisa in cui tutti dicono elegantemente in Toscana tra Arno ed Arno, s’e’ vogliono dinotare un luogo vicino all’unico Arno, che nasce in Falterona, od anche un tratto bagnato da quel solo e non da due fiumi» (A.

In uno degli ultimi capitoli del Veltro allegorico de’ghibellini, il Troya preannunzia, diremo cosi, la tesi che sosterrá nel suo scritto seguente De’due veltri di Dante Alighieri, ed a proposito della lotta fra il Cardinal del Poggetto ed i capi ghibellini nel 1320, scrive: «Non s’appartiene a noi di qui narrare simili avvenimenti; ma ben parlonne Dante Alighieri nel vigesimo settimo canto del Paradiso, quando era per terminar la sua vita; e volendo pur consolarsi, e non potendo piú sperare nel suo perduto amico Uguccione delia Faggiola, si fece a sperare in uno, che era stato comune loro nemico, cioè in Castruccio» (A. Del resto (1 ) Ed aggiunge poi, particolarmente rispondendo al Tommaseo ed al canonico Brutione Bianchi, “recentissimo chiosatore della Divina Commedia», e riferendosi sempre al territorio indicato dall’espressione «tra Feltro e Feltro», per i sostenitori di Cangrande: «Non è questo per avventura un vasto spazio, che comprende una metá d’Italia, e nel quale trovasi, al pari di Verona e di Trevigi, situati anche i castelli di Faggiola, tanto del Sonatello quanto del Conca? L’esser nati nell’estremitá della provincia di Montefeltro, non diversifica le condizioni di chi venne al mondo nell’una o nell’altra estremitá, del settentrione o del mezzodi. E però Uguccione il grande ha dr itti uguali a que’ di Can della Scala; e nacquero entrambi, chi voglia dilettarsi di tal geografica leggiadria, tra Feltro e Feltro. Rimane a sapersi quale de’ due fu il veltro de’ ghibellini e de’ bianchi usciti di Firenze». (2) Questa sua opinione viene egli poi svolgendo ampiamente nel discorso: De’ due veltri di Dante Alighieri, pubblicato pure nel 1855 in appendice al Codice diplomatico longobardo. Nel cap. XL riporta la terzina del XXVII del Paradiso-. «Ma l’alta provvidenza che con Scipio — soccorse a Roma la gloria del mondo, — soccorra tosto, si come io concipio»; e sostiene in questo e nei seguenti capitoli, appunto che, morto ormai Uguccione, Dante vide questo «soccorritore» in Castruccio. E nella conclusione afferma: «Del rimanente, se Dante non seppe o non volle dire qual fosse il suo veltro, tal sia di lui: a me basta l’aver trovato, che prima Uguccione della Faggiola e poi Castruccio Castracani furono, dopo l’esilio di Dante, i veltri de’ ghibellini e massimamente di Fazio degli Uberti, e degli altri bianchi, usciti di Firenze».