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a Genova nel 1313, il Trova cita Ferreto da Vicenza che afferma invece come il Faggiolano abbia sedato i tumulti quale rigido giudice «col supplizio meritato dei colpevoli» (0, e non sia stato eletto alla signoria di Pisa per «modo quasi di compenso», ma con pubblico decreto del popolo; e si meraviglia, il Troya, che il Tommaseo asserisca che Uguccione amasse «i lurchi soldati d’Arrigo VII; come se Cane della Scala e Matteo Visconte e tutti gli altri principi ghibellini rimasi fossero privi di quegli stuoli... e come se giá prima della venuta di Ugo non avesse il comune di Pisa comperata l’opera di que’ soldati». Il Tommaseo aveva affermato che Uguccione ha saccheggiato in modo «insolito» Lucca; ed il Troya risponde che «la cittá fu presa con pubbliche armi: non Ugo ma Castruccio era di Lucca; e se tradimento vi fu, solo fu di Castruccio e de’suoi»; e dopo aver parlato della vittoria di Montecatini nota: «Ben Dante a suo dispetto avrebbe dovuto aspettar la vittoria, che si ottenne, da chi solo era in armi contro Roberto: fosse stato pure cotesto Ugo colpevole di tutt’ i vizi!» ( 2 ). Un punto importante su cui il Troya doveva soffermarsi per (1) E peggiori furono, dice il Troya, i modi usati da Cane della Scala a Vicenza, secondo le testimonianze di Albertino Mussato e dello stesso Ferreto, che pure nell’opera sua non fu avanzo di lodi allo Scaligero. (2) E confessa il Troya un errore proprio: quello, cioè, d’aver ritenuto che i versi del c. VI del Paradiso «Che non l’abbatta esto Carlo novello» ecc., fossero stati scritti prima della vittoria di Uguccione, mentre furono scritti dopo, ed egli fu tratto in inganno da copia infedele di un documento rilevante. Torto ha il Tommaseo nel ritenere che i versi «L’uno al pubblico segno i gigli gialli» ecc. possano riferirsi ad Uguccione che teneva legittimamente l’aquila pel consenso de’ ghibellini di tutt’Italia, ma tali versi mordevano i Buonconti, uno de’quali «confessò di avere abusato il sigillo della signoria di Pisa. Al rimprovero fattogli d’aver visto un inganno della fortuna nella caduta di Uguccione e d’aver asserito che lo Alighieri ed il Faggiolano «buona pezza vissero insieme», il Troya risponde citando Andrea Dei, vivente nel 1328 (Dei, Cronica di Siena, Apud Murai., S. R. II., XV, 59), il quale afferma che volendo Ugo «far tagliare la testa a Castruccio per piú robarie e omicidi, perde del tutto la signoria dei pisani ingrati»; citando frate Ranieri «tanto guelfo che atroce chiamava l’infelice Corradino perchè aspirò alla corona di Napoli», e che ai pisani rimproverava l’ingratitudine verso il Faggiolano con le parole «... Oggi lo festeggi, o Pisa feroce; indi lo scaccerai: ma fu egli simile forse al conte Ugolino?» (Raynerius Granchi, Poema Caliginosum, Apud Murat., S R. II., XI, 297); citando «il guelfo e fiorentino Giovanni Villani» che dice della cacciata di Uguccione da Pisa: «Questo fu il guiderdone, che l’ingrato popolo di Pisa rendè a lui che gli avea vendicati di tutte vergogne, racquistato lor castelli e dignitá, e rimessi nel maggiore stato e piú temuti da’ loro vicini che cittá d’Italia» (G. Villani, lib. IX, cap. 76); citando, dopo il Boccaccio (Vila di Dante)