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I Carlo Trova, esule, o meglio, in bando da Napoli e nello stesso tempo in viaggio di studi, scriveva da Firenze ai genitori il 3 ottobre 1824, a proposito del trattato di pace dell’ottobre 1306 fra il vescovo di Luni ed i marchesi Malaspina, con commozione profonda: «Il trattato di pace si trova originale nell’archivio di Sarzana: e quantunque giá fosse stampato, io vedrò e toccherò una carta scritta da Dante» ( 0. In un’altra lettera, alla mamma, del 15 novembre dello stesso anno, da Urbino, parlando dell’Archiano e dei paesi per cui scorre il torrente, affermava: «ho piú compreso di quei fatti di allora in un giorno, che non avrei compreso studiando tutte le carte geografiche della terra,..». E dopo aver detto d’aver avuto, alla Pieve, nel Vicariato, dal dottor Tubugli «consigliere della signora Elisabetta della Fagiola, ultima discendente di quel famoso guerriero» molti documenti importantissimi che riguardavano il «suo» Uguccione, annunziava: «Domani vedrò l’antichissimo castello della Fagiola nell’andare a San Marino»! 3 ). Ormai egli aveva trovato la chiave per rendere chiara pienamente l’interpretazione della Divina Commedia; lo scriveva al padre da Bologna il 24 dicembre del 1S24. Dapprima Dante incominciò a scrivere in latino l’opera sua «ma poi l’abbandonò», e doveva essere tutt’altra cosa dell’attuale, che abbiamo. Coll’andar del tempo, questo poema italiano, dopo l’esilio, divenne il serbatoio di tutte le sue vendette politiche, di tutte le sue speranze per ritornare in patria, di tutte le lodi ch’egli dovev’ai suoi ospiti ed ai suoi amici. Non accadeva qualche cosa d’importante per l’esiliato poeta, ch’egli non ne facesse menzione lá nel suo libro: (1) G. del Giudice, Carlo Troya, Napoli, Giannini, 1S99. (2) Ivi.