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XVIII

Mia buon’amica, Veniamo alla Marcella. Ho ricevuto il cartellino di correzioni; ma in veritá, quanti han letto la vostra traduzione l’hanno lodata (ma senza lodar Porfirio), e quei dodici errori niuno li ha osservati, e niuno si è doluto. Ciò avviene perché mettono a conto di Porfirio quello che vuol mettersi a conto di chi fece il confronto della stampa e del manoscritto. Liberatore n’è inconsolabile: egli vi ha scritto. Abbiamo avuto torto di non aver riveduto il lavoro di chi aveva fatto il primo confronto, ma il vostro manoscritto anche ha un poco di torto, se confonde Pi coll’u, l’s coll’ f o col t. Riguardo a «portar vi debbo» e «vi porto», la colpa è tutta mia. Mi pareva certo piú bello come stava, e mi pare; ma parvemi francesismo «vi debbo amore», volendo dire che «si è debitori d’amore». Proposi quel dubbio ai dotti, e consultammo l’ultima Crusca; e non vi è quel «debbo» in significato di «essere debitore». Fu dunque aggiunto il «portare». Ma dopo la stampa, il signor Rocco, uno di quelli che avevano consultato la Crusca, ed aveva detto di non potersi dire, ha trovato, nel Labirinto di Amore del Boccaccio, proprio il «vi debbo amore». Voi dunque trionfate sopra tutti noi, cioè sopra tutti coloro che si intendono di buona lingua, nel qua! numero certamente non sono. Ma trionfate indarno, ed io sono colui che vi ha impastoiata con quel «portare»! Che volete, mia buon’amica. Io vi domando perdono e vi rammento Valter alterius cura portate! Non sessanta ma novanta copie si sono tirate della vostra Marcella’, dunque vedete che ci siamo ben curati di averla!