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VIII

Amica mia pregiatissima, Che posso io dirvi, e come rendervi grazie? Mentre io non per anco avea risposto ad una delle vostre piú amabili lettere, qual si fu quella 13 marzo, eccomene un’altra tanto piú gentile quanto meno aspettata! Ed io ben pretendo che la mia memoria sia buona, ed invano altri spera di poterla calunniare; né poi egli è un gran fatto che io mi rammenti si forte di ciò che piú ha giovato all’anima. Ed oh! se io vi dicessi! Ho cercato con gran fatica una istoria della chiesa di San Alessio: e non sono appena tre di che l’ho trovata, e percepita prima cogli occhi e poi colla mente. Scritta in buon latino, e con molto giudizio, dal padre Verini, ella mi è stata larga donatrice di molte notizie utilissime alla mia storia, ed ha saputo eccitare in me le piú liete rimembranze della mia vita. Or egli è inutile il dirvi quanto quel libro è dolce per me; quanto il luogo descritto dal Verini suona caro al mio cuore: in ciò io non voglio maestri, e non mi sento inferiore ad alcuno.

Ah! cosi prontamente, come io desidero, potess’io riveder l’Aventino! Il Gianicolo m’è quasi venuto in odio: e fu quel giorno istesso (per me di trista memoria), nel quale io ricevei l’avviso che facea mestieri abbandonare una cittá, ove io viveva una nuova vita! Il sepolcro del Tasso e le dipinture del Domenichino a Sant’Onofrio non mi furono cosi liberali come le vie dell’Aventino; e da quel giorno in qua, non ho piú condotto che una misera speranza di cambiar sito, come l’infermo. Nondimeno la speranza mi si ridesta nel petto; ed io vi dirò cosa, che non ancora ho scritto a’miei amici! Voi giá sapete quanto io sia stato solitario e selvaggio dopo il mio ritorno: sapete come io mi sono trasportato in un altro secolo, e come