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dissimulato a me stesso ed a’ miei. Non ho scritto nulla da quindici giorni, ma ho studiato molto ed utilmente. La nuova situazione, in cui si trova il mio spirito, dopo la vostra lettera del 29, mi fa credere che, in quindici giorni, avrò finito di scrivere la storia dei longobardi in Toscana. Oscuro e difficile argomento quello di sapere e di descrivere lo stato della Toscana da Carlomagno fino agli Ottoni, coi quali finisce il primo volume!

Affido al prossimo autunno la speranza di terminare questo volume, per depositarlo nelle mani amiche di una cotal romagnola che molto ama la sua patria; di una cotal romagnola, che mi farebbe assai piacere se di suo pugno volesse copiarmi e donarmi la scena del marchese Ugo. Né intendo che ciò si faccia senza il debito permesso di un altro romagnolo che io amo e stimo piú che io non sapessi dire. Anche per lui, ed in breve tempo, verranno giorni migliori; e, chi sa? una unione in Toscana di tre persone, che possono stimarsi a vicenda, potrebbe non essere un vano sogno, di una mente accesa di desiderio. Addio. Vi raccomando il mio povero amico; fategli comprendere tutta quanta ella è la mia sventura del non poterlo rivedere finora. Ma siamo in tempi siffatti, che lo sperare sembra del pari stolta cosa che il disperare. In questo minuto mi viene dalla posta uno scritto del conte Cassi. Vi leggerete annoverate le italiane, le quali si aggiungono alla schiera delle Gambara, delle Stampa e delle Colonna. Addio di nuovo. Ma non finirò senza ringraziarvi dell’opera sul. del vostro console sardo. In veritá pare impossibile che nel 1826 si potessero dire tanti spropositi!

Ditemi, e subito, subito, quali sono i libri che avete letto e che vi apprestate a leggere intorno ai fatti di Catterina Sforza, perché io potessi comunicarvi alcuna cosa che potesse venirmi fatto di rifrugare in qualche libro non ancor visto da voi. I miei rispetti a don Giovanni. Mille saluti agli amici, e credetemi colla solita stima ed amicizia ecc. Napoli, 31 agosto 1826.