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IV

Due sorte d’indipendenza voglionsi distinguere appo le nazioni monarchiche; l’una se i popoli abbiano un re non ricco di regni stranieri e non vivente in alcuno di questi; l’altra se un re che tragga i suoi di fuor d’un qualunque paese a lui soggetto, gli consenta i dritti di fare le leggi. La prima sorte è d’assoluta e «d’internazionale» indipendenza; relativa è la seconda ed «autonomica». In Sicilia durò l’assoluta fino al 1410: la relativa fino al 1812. Maria ultima del sangue di Federico III, lasciò, morendo, il regno a suo marito Martino il giovine, che usci di vita nel 1308, dopo aver scritto erede il proprio genitore Martino il vecchio, re d’Aragona. Cosi la Sicilia per virtú di un testamento passò in balia di estraneo signore: cosi ella, confessa il Palmieri, «pati la massima calamitá, passando in mano a principi altrove residenti». Martino il vecchio ed i re suoi successori si chiamavano re di Sicilia: ma questo titolo nella lor bocca suonava diversamente che suonato non avea nel capitolo del 1296, essendosi giá detto d’aver quivi Federico III preso il nome di re del regno di Sicilia, perché possessore attuale d’una gran parte di Calabria, oltre l’isola. Osserva l’Amari che l’antiche anfibologie del titolo di re di Sicilia, conservate si dagli Aragonesi e si dagli Angioini, aprirono il varco del 1815 allo scempio della costituzione; ma in seno a questa si nascondeva la piú sottile anfibologia della contradizione tra le vaste speranze di un parlamento, il quale chiedeva nel 1812 l’assoluta ed internazionale indipendenza di Napoli, e le riserbe fatte dal re di voler additare alla pace generale chi regnar dovesse la Sicilia o s’ella s’avesse a cedere in prò del suo figliuol primogenito. Per tali riserbe si dischiusero a danno dello statuto modi piú brevi e piú certi delle vetuste ambagi del titolo dei re di Sicilia: e tosto quel-