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solo ministro gli sovrastava, e chiamavasi Ruggiero Settimo, il quale nobilmente, né senza suo danno arringò nel parlamento del 1813 per sollevare dalla miseria i soldati napolitani e siciliani. A questi aveva il parlamento del 1812 assegnate annue once 236062, ovvero annui ducati 7S0886; tenue valore per si gran numero di milizie. Molti napolitani o stanziati prima del 1806 nell’isola o passativi col re in quell’anno, si condussero a militare in Ispagna, e poscia in Genova contro Napoleone; ivi non di rado acquistarono fama di valorosi, e di non pochi tra essi la storia serbò le rimembranze. Alcuni rimasero in Sicilia, quando il re per l’ultima volta parti da Palermo nel mese di maggio 1815; allora uno stuolo non breve di siciliani accompagnollo in Napoli, fra’ quali nominerò per causa di onore il generai Fardella che poi divenne ministro della guerra, i due marescialli Statella ed il maresciallo Staiti. Cosi gareggiavano in onore i popoli dell’una e dell’altra Sicilia, dichiarate indipendenti, fra loro, ma soggette ad uno stesso re. Piacque indi a Ferdinando restringere i suoi dritti antichi di mantener soldatesche napolitane in Sicilia, dichiarando nel vigesimo settimo capo delle «trenta linee», che oltrepassato non avrebbero il numero d’ottomila uomini a spese della Sicilia. Neghi ella ora, se può, che milizie non siciliane difesero in ogni tempo l’isola dal 1410, per circa quattro secoli e mezzo, fino al 12 gennaio 1848; neghi che il Cardinal Trivulzio impose in sul collo a Palermo i baluardi, ora disfatti del reai palazzo; che aragonesi, catalani e valentini empierono sempre la bella Trinacria, mentre i napoletani ed i siciliani andavano a bagnare del loro sangue una qualche terra lontana in servigio di Carlo V e di Filippo II. Né lo spargevano senza gloria e massimamente nel Belgio: ma ogni gloria di Napoli e di Sicilia si travolgeva e confiscavasi, per cosi dire, in beneficio dei padroni di Madrid o di Vienna. Che vale perciò ai siciliani di rammentare il capitolo del 1296? Val meno che non a noi di ricordare i regni di Federico II e di Manfredi: a noi che andammo lieti di avere i nostri re a Napoli; non dirò Ladislao e Giovanna, ma si Alfonso ed i suoi successori aragonesi dal 1410 al 1500; per