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romano-cattolico; non solo ignoto a Rotari, ma veramente odiato da lui. E perciò Liutprando ebbe a dire che badassero gli scribi a saper bene Runa e l’altra legge: nel tempo medesimo pensò a conservare intatto il principio delle successioni legittime dei longobardi, affinché si mettessero in salvo i dritti del suo erario ed i costumi generali della nazione; piú tardi colla sua legge 100 dichiarava che la chierisia del padre longobardo non cangiava punto lo stato dei figli. Ed erano queste le sole dighe opposte dal legislatore a quella invasione del dritto romano fra i longobardi. Se i longobardi erano invasi dal dritto romano, bisogna pur confessare che questo doveva essersi molto allargato pei vargangi romani sudditi longobardi. E di questo dritto romano, che la legge 37 non dice di essere stato il dritto di uomini romani, parla ella solamente, come ho detto, non parla d’una cittadinanza romana che fu spenta da Clefi e dai duchi.

Ecco, mio caro conte le mie ultime parole sulle leggi 37 e 74: ecco le aperte e franche spiegazioni che ella desiderava. Or mai potrò trattare la quistione sulla condizione civile dei romani al tempo e per opera dell’editto di Rotari, senza temere che questi romani si abbiano a trovare nella legge 37. Non si trovano finalmente nella legge 74, si perché i vargangi romani si erano allargati, si perché vi era stata la nuova conquista dell’Esarcato. Insomma io mi propongo di dimostrare di mano in mano: 1. che Clefi ed i duchi distrussero la cittadinanza romana, lasciando la legge romana in parte.

2. Che l’editto di Rotari distrusse e non poteva non distruggere la legge romana: cioè le reliquie d’essa. 3. Che il cattolicismo ed i vargangi e gli advenae e missionari romani ricondussero sussidiariamente il dritto romano fra i longobardi prima di Liutprando e di Carlomagno. Addio, mio caro conte: aspetto con impazienza la sua risposta: io sono tutto suo Carlo Troya.