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Un gran numero di vargangi romani dopo i tempi di Rotari e di Grimoaldo erano venuti a stanziare fra i longobardi ed a prendervi sudditanza. Si rammenti ella, mio caro conte, che Ariberto re con suo diploma «in lettere d’oro» nel 707 a un bel circa restitui alla Chiesa romana il patrimonio delle Alpi Cozie; come narra il Diacono e piú particolarmente il venerabile Beda. Io non cerco se tal patrimonio fu di cittá e di castelli, ovvero di semplici poderi: so che la restituzione fu di cose molto rilevanti, perché l’atto si distese in «lettere d’oro», come notarono l’abate Gotwicense ed il Zaccaria. Ora in queste o cittá o castelli o possessioni la Chiesa romana mandava «difensori» o amministratori certamente romani di Roma o del ducato, i quali non erano sempre chierci: e conducevano con essi loro, se chierci, non pochi laici romani, o parenti o amici o ministri. Oltre le Alpi Cozie molti altri beni furono restituiti alla Chiesa romana, dei quali non fece menzione la storia, e molti furono donati nei paesi longobardi: furono restituiti o donati altri beni ad altre chiese del ducato romano e dell’Esarcato. Ecco una truppa di difensori, che non di rado si maritavano fra i longobardi e che divenivano vargangi sub sctito regio. Si aggiungano i romani ingenui che per causa di traffici e di guadagni recavansi a viver fra i longobardi e ad esercitare le arti e la maggioranza del popolo piú colto sul meno colto. Di queste e di simili migrazioni non voglio esempi se non quello degli «uomini traspadani», che veggonsi venire nell’VIII secolo a coltivare i terreni di Toscana e dei vicini paesi longobardi nei documenti di Muratori, e massimamente del Bertini e del Brunetti. Novella vita sotto il regno di Liutprando animava gli stati suoi: si rammenti ella del trattato di commercio coi romani di Comacchio spettante all’anno 715 o 730, intorno al sale trasportato da quelli nei vari porti longobardi del Po; trattato che leggesi nel Muratori. Si rammenti gli atti di Liutprando per la confinazione dei suoi stati con la repubblica di Venezia. Quanti di siffatti monumenti ha divorato il tempo invidioso? Da un’altra parte si legga l’insigne documento dell’anno 681, prima di Liutprando: documento del celebre codice