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dei primi popoli barbarici 149


gli occhi di Totila in Faenza, e l’altro da Coca presso a’ Gallici Sepolcri. Belisario, che ben vedea quanto nell’esercito gotico prevalessero i cavalieri, sorridea del non voler questi apprendere l’arte di saettare, conienti di pugnar con l’aste soltanto e con le spade1; ciò che ho detto aver cagionato la rovina di Totila nella pianura di Lentaggio. Non per le rimembranze della sciagura di quel re i cavalieri del medio-evo mutarono stile, superbi solo dell’asta e della spada sul cavallo; prima protettori, e poi oppressori de’ deboli, che camminavano a piedi. Ma prima di tali abusi della forza, la qualitá di cavaliere dinotò gli uomini valorosi e cortesi; gli uomini ripieni di rispetto per le donne.

Quelle de’ goti lo riscossero in ogni etá dal sesso piú forte, anche ne’ tempi della poligamia Zamolxiana, raddolcita prima dell’era volgare dalle dottrine degli ctisti e de’ capnobati, che posero in onore il celibato e la verginitá. I riscontri di questo rispetto per le donne zamolxiane si traggono principalmente dalle antiche leggende, siano pur colme di favole, della Scandinavia. Le vergini e le donne degli altri goti incontrarono men turbolenta e meno gloriosa ma piú lieta sorte nel matrimonio cristiano, e piú conveniente alla muliebre indole; del qual matrimonio vissero affatto ignare, quantunque pudiche, le femmine della Germania di Tacito fino all’ottavo secolo. Ad esse negli angusti e sordidi lor casolari non ancora infondea la religione i sensi, che innalzano la donna, dandole coscienza intera della sua dignitá e de’ suoi dritti. L’opulenza delle visigote allorché passarono il Danubio sotto Valente Augusto, la venerazione de’ goti protingi d’Odoteo per le lor vergini diaconesse, la coltura delle lettere appo le principesse Amaliche, l’istruzione d’Amalaberga, l’eloquenza d’Amalasunta, i regi spiriti di tutte dimostrano l’eccellenza, in cui vennero le donne appo i goti; massimamente nell’etá, quando fra essi brillarono la fedeltá e l’eroismo di Gensemondo, adottato in figliuolo degli Amali col rito dell’armi, le maniere benigne d’Ataulfo

  1. Procopio, De Bello Goth., lib. I, cap. 27.