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del veltro allegorico di dante 113


l’Alighieri, e fargli scorgere in Castruccio l’erede vero della gloria del Faggiolano. Mentre il poeta metteva fine al suo Paradiso, Romeo dei Pepoli fu costretto ad uscir di Bologna (luglio 17), che troppo a lei sinistro giudicò un cittadino si poderoso; e la morte liberò la Lombardia dall’ambizione di Giberto di Correggio, i discendenti del quale furono dei piú cortesi a Francesco Petrarca.

LVIII. Cresceva intanto la stima di Guido Novello per Dante Alighieri, cui si crede che avesse quegli affidato una solenne legazione appo i veneti; della quale per veritá non si hanno certissimi documenti. Ma, quando pareva che la contraria fortuna volesse placarsi, finiva nel 14 settembre 1321 una vita che fu travagliata da tante sciagure. Il pubblico lutto, le lagrime dei Polentani e degli altri amici onorarono la funebre pompa: e sulle spalle dei piú illustri uomini di Ravenna fu recato al sepolcro il corpo del poeta divino. Tardi pentita pianse Firenze; Giovanni di Virgilio compose l’elogio sulla tomba di Dante: Ferreto da Vicenza e i migliori poeti d’Italia inviarono i loro versi a Guido Novello. Questi con tenera cura li raccoglieva, e col canto altrui consolava il proprio dolore. I tredici canti, maestoso fine del Paradiso, furono drizzati a Can della Scala dai figli stessi dell’Alighieri: cosi, per attestato di Giovanni Boccaccio, narrava Pietro Giardini, uomo di gravi costumi, che serbò sempre santa riconoscenza e pietosa venerazione per la memoria di Dante.

Gli ultimi due protettori, ai quali l’Alighieri ebbe ricorso, Pagano di Aquileia e Guido Novello, furono guelfi. E fuori dubbio l’amichevole opera di questi signori, massime del secondo, fecero sperare al poeta in sul cadere dei giorni suoi che venisse finalmente il tempo di rientrar senza infamia in Firenze. Con virile animo Dante obbliò le ingiurie fatte alla sua persona, e tacque sempre di Cante Gabrielli. Non riguardò alle parti, ugualmente dannando i guelfi ed i ghibellini: ma, credendo i tristi piú numerosi che i buoni, dilettossi piú di punire i rei che non di premiar le virtú. L’ira gli fece talora