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del veltro allegorico di dante 111


sarebbe — rispondeva egli a Giovanni — di ornare il capo della corona di alloro in Bologna; ma di gran lunga più caro gli è di meritare il serto in sull’Arno1; ed allora gli gioverá, quando il suo Paradiso potrá essere così noto al mondo com’è l’Inferno. E poiché dei regni del dolore giá si cantò, vedrassi quale opra sará così quella del cantar dei pianeti, che nel fluido immenso discorrono intorno all’universo, come dei celesti abitatori di essi2. Né Dante verrá in Rologna, ove Poliremo il gigante ha la stanza (Eglog. 1, v. 27): Polifemo, cui egli non saprá preferire al suo loia (ibid,, v. 95). — Il qual gigante, non potendo essere il re Roberto soffermantesi tuttavia in Avignone, si può credere non figurare altri, che il massimo fra i bolognesi Romeo dei Pepoli. Or queste poche parole di Dante svelano meglio di qualunque ragionamento la storia del divino poema, e ci additano che quando l’Alighieri abitava in Ravenna presso Guido Novello, non era per anco uscito in luce il Paradiso, quantunque intitolato a Can della Scala.

Dunque, per sentenza di Dante, s’ingannarono coloro i quali crederono che la pubblicazione dell’Inferno avesse potuto farsi appo Can della Scala in Verona: e sará facile il vedere, chi ponga mente alla lentezza con cui senza la stampa si divolgano i libri, essere trascorsi non pochi anni prima che VInferno avesse potuto venire nella rinomanza, della quale parlava Dante in Ravenna. A queste cose verissime vuoisi aggiungere che, se il poema intero fosse stato pubblicato ad un solo tratto, non avrebbe avuto bisogno il poeta d’innasprire il suo Paradiso con tanti sdegni politici, dei quali avrebbe po-

  1. Nonne triumphales melius pexare capillos,
    et patriae (redeam si quando) abscondere canos
    fronde sub incerta?
     Dantis, I, vv. 42-44.

  2. Quum mundi circumflua corpora cantu
    astricolaeque meo, velut infera regna, patebunt,
    devincire caput hedera lauroque iuvabit.
     Ibid., vv. 48-50.