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DEL VELTRO ALLEGORICO DI DANTE

Sul cadere del decimo terzo secolo e nei cominciamenti del quartodecimo, capo dei ghibellini era U g u c c i o n e   d e l l a   F a g g i o l a. Guerre lunghissime combattè contro i guelfi: ebbe signoria nelle principali cittá di Toscana e di Romagna: trionfò nell’una delle maggiori battaglie dell’etá sua. Non meno gentile che valoroso, fu cortese di ospizio all’esule D a n t e   A l i g h i e r i. E gli diè fiducia di rimetterlo in Firenze quandocché fosse stato; e meritò da lui nobile canto di lodi. Ma la fortuna schernì all’ultimo il Faggiolano: ei non raccolse frutto dalla vittoria: le lodi stesse dell’Alighieri perirono. Volendo io trattare di sì egregio capitano dei più virili tempi d’Italia, il rivocar quelle dall’obblivione mi parve non inutile opera: da ciò, mi confido, verrá luce non poca ed ai fatti ed agli scritti di Dante. Degli avvenimenti pubblici toccherò quanto giovi a dichiarar le cose dei due amici, premesse brevi parole intorno allo stato degl’italiani quando mori l’imperatore Federigo II, principe della casa di S v e v i a e che aveva ottenuto in retaggio la monarchia del normanno Ruggieri.

I. La discordia fra l’imperio ed il sacerdozio che aveva diviso l’Italia in guelfi ed in ghibellini, spento Federigo Augusto nel mezzo del tredicesimo secolo, mutò natura e concepí altri furori. Non piú si combatteva in Italia per alcune particolari dottrine; ma coi vecchi nomi dell’imperio e della Chiesa parteggiava ciascuno per quella che credeva essere la sua privata indipendenza, sotto l’una delle due forme del reggersi a comune