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o dei recenti delitti dell’amata Firenze? Chi non sará preso dalla bellezza dei racconti della sua innocenza, delle persecuzioni di Bonifazio VIII, dell’andarne in esilio, dei lunghi ed insensati sdegni dei bianchi, delle sventure del Mugello, e delle prime accoglienze del gran lombardo? Di tutto ciò l’Alighieri fa rassegna in quei tre altissimi canti: poscia, trasandato l’imbelle Alboino, commenda in Cane la magnificenza e il non curar dell’argento (Paraci. XV-XVI-XVII): ma né profetando ei tocca della vicentina vittoria, né altro accenna della guerriera virtú di lui, tranne che nascendo fu quel principe impresso dalla stella di Marte si, che i suoi fatti sarebbero stati notabili, o, come altri vuole, mirabili (Farad. XVII, 85-93). Di questa medesima virtú guerriera, e dello spregiar gli affanni per aver gloria si sarebbero vedute faville, non altro che faville, soggiunge il poeta (ibid. 76-78), innanzi che Clemente V ingannasse il settimo Arrigo, cioè prima del 1311.

Or perché sapesse Cane di quale animo fosse Dante Alighieri, gli affermava questi che troppo dura cosa è il pane altrui (Farad. XVII, 83-84); del qual detto alla corte dei ricchi non si profferisce il piú sdegnoso dal povero. E non si astenne il poeta nei medesimi canti di gloriarsi della sua nobiltá (Farad. XVI, 1-9): di che donnescamente Beatrice beffollo alquanto (ibid. 13-15). E sé medesimo, avente in moglie Gemma la cugina di messer Corso Donati, opponeva tacito ai nobili Adimari della buona Gualdrada, narrando che spiacque un giorno ad Ubertino Donati l’imparentarsi con essi loro (ibid. 118-120). A siffatte dichiarazioni altre ne succederono intorno al costume, pel quale infino allora l’Alighieri avea flagellato i piú possenti; di queste, non dimentico di Alberto e di Alboino e di Giuseppe della Scala, volea particolarmente informato Can Grande. Ma vinse l’animo altero, e non dilettossi di vile discolpa, e pel nuovo favore della corte di Verona ei non lodò i tre Scaligeri; e stando fermo ai primi detti, fu lietissimo dell’infuturarsi della sua vita (Parad’. XVII, 98). Cotali maniere poterono risvegliare nel principe veronese le mal superate avversioni: e non poco dovè accrescerle il fatto dello Scaligero