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braccia distese due cartelli, nell’uno de’ quali si legge in caratteri gotici della miglior forma:
« Giunge la morte piena de egualeza:
« Sole ve voglio e non vostra richeza. »
nell’altro:
« Digna mi son de portar corona
« E che signoresi ogni persona. »
A lato di quel principe stanno due altri scheletri obbedienti ministri, l’uno dei quali afferra un arco dalla cui corda vibra ad un tratto tre freccie, dirette a portar la morte sopra i poveretti che gli stanno dicontro. All’egual tristo ufficio è intento lo scheletro dall’opposto lato; ma con un istrumento degno di molta osservazione per la sua forma, simigliante ad un archibugio di prima invenzione, consistente in una lunga canna senza calcio, accomodata in un legno concavo; archibugio che lo scheletro accende con una miccia.
Presso a quell’avello, ed alla diritta del dipinto, stanno tre giovani cacciatori sopra cavalli riccamente bardati con cani e sparvieri volanti. L’uno rivolto verso il sepolcro cade rovescio sul proprio cavallo ferito da un dardo nel petto: l’altro guarda attonito la morte, la quale già scoccò un dardo al falcone librato nell’aria: il terzo spaventato pone al galoppo il cavallo1. Il fondo è chiuso da una boscaglia entro la quale si aggirano altre persone che meglio si discernerebbero, se in questa parte il dipinto (vedi la citata Tavola I.ª alla lettera A) non fosse stato offeso dal tempo. Più vicino al sepolcro vedonsi alcuni dignitarii ecclesiastici, in supplichevole atteggiamento, fra i quali un vescovo che solleva le mani offerendo un vaso ricolmo di monete.
- ↑ Questi tre cavalieri richiamerebbero in certo modo il dipinto di Andrea Orgagna nel Cimitero di Pisa, allusivo alla storia dei tre morti e dei tre vivi, ove si racconta come tre nobili signori cavalcando a caccia entro una foresta, vennero soffermati da tre orribili spettri, dai quali ebbero una tremenda lezione sulle umane vanità.