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sentirsi un pesce fuor d’acqua alla Camera, e, temendo che l’insuccesso parlamentare finisse per estendersi anche a quello della piazza, approfittò cavallerescamente di un momento in cui il ritirarsi lo esponeva al rischio di subire una condanna per una delle solite sue offese personali, e si dimise da deputato.

Certo egli sperò, anche, che il popolo l’avrebbe ricondotto all’ambitissimo seggio, che egli s’era in poco tempo sciupato e, ve l’avrebbe rimesso in carreggiata; ma la memoria del popolo è labile sempre; ed egli, il povero tribuno, non avendo da offrirgli un secondo attentato nè un secondo martirio, non fu rieletto, cadde vescica svesciata.

Peggio anzi; fu abbandonato da coloro che ne avevano cavato il loro prò, nè avrebbero potuto più oltre sfruttarlo — anche perchè la sua mattìa era proceduta assai più in là della linea da loro assegnatagli, e, novello Ruy Blas, avea presa troppo sul serio la pretesa missione, sicchè s’era mutato da manico in coltello, anzi in accoltellatore. E dovette pagare ben salato, troppo salato, il fio delle accuse, vere in parte, in parte no, che aveva accatastate fino allora nel suo giornale: e fu condannato per sette analoghi capi d’accusa — chè, non gli si volle, con troppa sottigliezza giuridica, cumulare, ma scindere la colpa e la pena.

Benchè alcuni di quei reati non fossero invero politici, ma comuni e dipendenti dalla sua follia, e dall’orgoglio, resoglisi gigante ormai dopo i primi trionfi, come gli insulti al Pretore Carcano, e ad un usciere che dovea eseguirgli un sequestro, pure la punizione che giuridicamente era correttissima, agli occhi di molta