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sempre tardissima! — E quando l’opinione pubblica, per poco fuorviata, comincia a lagnarsi, si propongono, come estremo rimedio, delle riforme che allargano le garanzie dei colpevoli più assai che quelle degli onesti!

Oh!... v’è materia e quanta per un tribuno che, vedendo attuato, sì, ma in via di guastarsi il sogno di Cola, vi voglia porre rimedio, per quanto il possa un individuo che non appartenga alla categoria delle caste dominanti nella politica attuale.

Ed il tribuno parve sorgesse, e munito delle due armi più potenti dei nostri tempi, la stampa e l’opinione pubblica. — Era il Coccapieller.

Ma, tuttochè così bene corazzato e tanto fortunato, a che cosa approdava costui?

Salvo a quella meta affatto personale, del parlamento, che centuplica i solidi ingegni ma li seppellisce se inani, a nulla ci seppe riescire di degno della aureola concessagli dalla mobile plebe.

Non uno dei grandi concetti di Cola gli passò un momento pel capo; nemmeno, anzi, una di quelle felici trovate rettoriche che assordano o trascinano più che non conquistino; nemmeno uno di quei lampi di genio che balenano, nei momenti più fortunosi, anche agli ingegni volgari. No. Egli non seppe che vellicare, colla più volgare furberia, il campanilismo dei buoni patrioti Romani, e con ciò e colle grida e gli insulti e con abili rivelazioni soffocare le mosse altrettanto incomposte di uomini, più turbolenti di lui, e così a loro sostituirsi.

Ma pure, per giungere anche a questo, dall’ultimo gradino della scala sociale occorreva una forza, un organismo ben diverso dal comune.