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quando non riescono anche a guastarlo, illudendo d’avervi provveduto.
La società della capitale, retta, come nel Giappone, da un leale capo politico, da un religioso, e da una casta di retori che sostituisce quella dei Daimios, riassume in piccolo le piaghe di tutta Italia. Un clero impotente in teoria, ma, in fatto, influente ancora sui due estremi della scala sociale, la plebe ed il patriziato, in ispecie, ridotto suo mancipio; una casta avvocatesca che ha ereditato officialmente il potere, ma non il prestigio, d’amendue, e che di poco li supera d’ingegno e d’energia; la mediocrità dominante per tutto ed inconscia della propria inettezza, che anela dietro all’effetto, senza previsione nè preoccupazione del fine.
Dovunque il monumento e le feste preferite alla istituzione, l’adorazione feticcia del campanile sostituita all’amore di patria, e la setta, e il gruppo, sostituiti all’associazione, al partito, grazie all’individualismo che sottrae, invece di sommare, le forze: infine una calma triste, come quella dei mari oceanici, interrotta a larghi intervalli da brevi burrasche, dovute ad uomini più valenti che onesti, che vendono spesso al minuto la loro effimera influenza sulla credula plebe, la loro maschera di Eolo.
Vi si affaccia un’epidemia, e cedendo ai ciechi e paurosi sussulti della piazza, vi provvedete, come nelle epoche medioevali, sbarrando il passo con le baionette ed i fucili agli invisibili microbi, aggravando i mali del morbo con quelli della miseria, che segue ai rallentati commerci, mentre con minori dispendii,