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scrisse ai Romani perchè si adoperassero in suo favore, il che essi non fecero: ma la lettera non era, come egli stesso confessa, firmata, il che proverebbe che l’entusiasmo non giungeva fino all’imprudenza.
Ed era, ad ogni modo, una specie di consorteria professionale, che parve ispirarlo: perchè l’argomento principale che assumeva a sua difesa era l’immunità concessa ai poeti: argomento che pare cogliesse nel segno, in quell’epoca in cui forse l’ignoranza grande aumentava il rispetto ai cultori delle muse. È probabile, anche, che egli mandassegli lettere così spesso, per riceverne anche altrettante, e soddisfare la sua vanità e la curiosità dei suoi Avignonesi.
Notisi, poi, che anche in quelle lettere non è escluso un cenno sulla sua poca prudenza e sulla sua follia.
»Tutti e due, parlando egli di Bruto e di lui, finsero di essere folli quando il fingerlo era necessario per coprire l’impresa e il talento; il primo fu sprezzato dai re ch’egli cacciava; voi vedete il secondo servire di trastullo ai tiranni (Lettera 1347, De Sade, vol. ii). «Ammiro, scrive a lui stesso, l’arte con cui vi esprimete per mettervi al riparo dai rimproveri; vi scongiuro di stare attento su questo punto.» Dunque egli dubitava della sua prudenza e finisce con una raccomandazione che pare proprio un rimprovero, e ben meritato, diremo noi: Far egli bene a tenere copia d’ogni sua lettera, acciocchè l’una non appaia in contraddizione coll’altra1 (Biblioteca di Torino, Codice 784, xxi).
- ↑ E nel novembre, 29, quando cominciò a sentire la novella delle sue follie, gli scrive: «Ti bisogna piantare solido