Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 60 — |
dedicata, e dove infatti elogiava il suo più tenace nemico, il Colonna; gli è verissimo però che malgrado fosse legato col Clero d’Avignone e amicissimo dei nobili romani suoi avversari, Petrarca vide in lui un ideale di eroe classico; e lo inneggiò nelle sue lettere destinate già prima alla pubblicità, presso a poco come qualche democratico in guanti gialli inneggia, tra un pollo ed un tartufo bene ammanito, alle teorie di Lassalle e di Marx1. Ma gli era, sempre, un amore assai platonico, come quello sì poco consistente per Laura.
Infatti la passione politica non passa mai oltre all’invio di lettere e di commendatizie, salvo quando si dispose a mettersi in viaggio per vederlo di persona ed è notò che egli, poi, s’arrestò, a mezzo cammino, a Genova.
Il De Sade (Vie de Pètrarque, III, 317) osserva che in quell’anno in cui egli pareva tanto preoccupato di Cola, scrisse il maggior numero dei canti a Laura. Ed egli, il fautore di Cola, ha un gran numero di sonetti pei suoi più implicati nemici, i Colonna (il n° 30, 71, 45, 52, 77, 82, 281), e pone anzi la loro amicizia a lato dell’amore di Laura (227, 229). — Evidentemente la politica gli permetteva delle divagazioni, e di molte!
Quando lo seppe prigioniero in Avignone, è vero,
- ↑ «Voi, che avete veduti i re ai vostri piedi, ora siete servi. Di chi? Di nobili venuti signori, scozzoni delle valli del Reno e dei Rodano; non ricchi se non perchè vi rubano. Discordi l’uno all’altro, in ciò solo s’accordano di derubarvi. E voi avete avuto i due Bruti! Il nuovo tribuno raccoglie le glorie dei due Bruti» (Rerum. famil. Epist.).