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alienista impenitente che sono, di cavarne un’applicazione allo studio del mattoide, io aveva fallito la strada.

Non è poeta chi vuole, e non è chi vuole, popolare. È necessaria una dose di grande duttilità e lucidezza; e non basta, come io credeva, sorvolare sulle citazioni, ma bisogna condurre il pubblico passo per passo; se no, avverrà che egli, trovatosi all’improvviso sopra una strada ignota, non sappia orientarsi, ed accusi della propria confusione non già sè stesso, ma la sua guida.

Quando qualcuno legge un libro per sollazzo, si ferma ai fatterelli che gli si adducono, senza sognare che vi sia sotto una conclusione. Meno ancora sognerà che l’autore pretenda da lui la conoscenza delle altre sue opere, senza le quali molte delle teorie addotte devono sembrare bislacchi paradossi; e così io avendo, in altro lavoro, con parecchie centinaia di esempi, mostrato la frequenza della pazzia nell’uomo di genio e le ragioni anzi per cui l’uno a vicenda si trasforma nell’altro, e gli speciali caratteri dei mattoidi, ommisi quelle dimostrazioni, dopo le quali poche frasi colte a volo nelle lettere di Cola da Rienzi, nell’Ezio II, bastavano per mostrare l’indole morbosa dei loro autori.