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loro proprio, una vivacità che usciva dal compassato classicismo preso a modello, un’esuberante confidenza che obbligava a prestar, sulle prime, fede alle bugie di cui formicolavano: e pare, anzi, che, come accade a certi matti ed a certi impenitenti bugiardi, egli finisse per credere egli stesso alle menzogne che vi dettava.

Lasciando stare i motti spropositi strani in un dotto latinista1 e l’abbondanza che abbiamo accennato e che è un carattere morboso, e tanto più in un uomo di Stato di quei tempi, per cui il silenzio era più aureo che non ai nostri, necessario anzi, grazie alla generale incoltura, un fatto mi ha colpito: il giuoco continuo delle omofonie, o, per dirlo con un motto moderno, il pompierismo, che è uno dei segni della massima leggerezza umana, e che certo non era uno dei caratteri della diplomazia di quei tempi.



  1. Anche negli autografi troviamo cotidie per quotidie, Capitalo per Capitolio, patrabantur per perpetrabantur, speraverim per spreverim, michi per mihi; ho notato lo strafalcione da lui preso nello interpretare il pomoerium, il Circondario di Roma pel giardino d’Italia; il che tutto indica come non era punto precisa e punto completa la sua coltura.
    Quanto alla calligrafa non troviamo nulla di particolare. Vedasi questa sua firma, che dò per coloro che credessero non esistere di lui pure una riga di scritto.
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