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dal De-Sade, dall’Hobbouse, dall’Hoxemio, dal Pelzel, dal Papencordt1; e che basterebbero da soli a darcene la diagnosi.

E non ve n’è infatti quasi una che non porti una impronta o di una vanità morbosa, o di quei giochetti di parole e di quelle ripetizioni di cui si dilettano specialmente gli alienati.

E prima di tutto la loro grande abbondanza in un’epoca in cui sì poco si scriveva.

Quando, dopo la sua prima fuga, si saccheggiò il Campidoglio, ove risiedeva, ciò che più sorprese chi penetrò nel suo ufficio fu la massa delle lettere cui egli aveva abbozzate e non ancora spedite: ed era noto come i moltissimi scrivani da lui arruolati non bastavano alla fatica delle sue dettature, come che egli mandasse corrieri su corrieri, non solo alle repubbliche amiche, ma anche ai potentati indifferenti o sdegnosi, come il Re di Francia, che gli rispose per beffa col mezzo di un arciere, qualche cosa di simile ad una guardia di P. S., e come i Signori di Ferrara, di Padova, di Mantova che gli rimandavano le sue lettere. S’aggiunga, lo stile, il volume esagerato, irto da poscritti più lunghi del testo, la firma singolare così ricca di titoli laudatori quale solo era usata dai principi orientali ed africani.

E veramente quelle sue lettere hanno un sapore



  1. Gaye, Carteggio inedito d’artisti, ecc. Firenze, 1839. — Hoxemio, Qui Gesta Pontificum, Tungrefium, etc. Leodii, 1822, II, pag. 272-514. — Papencordt, Cola di Rienzi. Amburgo, 1847. — Hobbouse, Historie Illustrat. of Childe Harold, 1818. — De Sade, Mèmoires de Pètrarque, III.