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sforzasse per trovare il tempo di mangiare, era passato agli estremi opposti, all’orgia continuata, ad una vera dipsomania, che egli scusava cogli effetti d’un veleno che gli sarebbe stato propinato in carcere1, e che noi invece crediamo l’effetto del progredire del male, perchè vediamo che era un fenomeno cominciato fino dai primi mesi del primo Tribunato2, e perchè i veleni lenti rendono tabifiche, non grasse le loro vittime.

«In ogni ora confettava e beveva, non osservava nè ordine nè tempo, temperava il greco col flavione: ad ogni ora era del bevere vino fresco. Troppo beveva» (Anonimo, pag. 192).

«Ancora era diventato grasso sterminatamente; avea ciera fratesca, tonda, trionfale come da abate Asiano, viso rosso e barba lunga. Aveva occhi bianchi, e tratto tratto s’arrossiva come sangue, e subito i suoi occhi si infiammavano».

Come, insomma, chi inclina a demenza, il corpo si era fatto enorme, gli occhi spesso sanguigni, la faccia con un’impronta tutta brutale. La mente assai meno attiva, e l’umore profondamente alterato, l’incostanza, l’inquietudine, la bizzarria che gli avevano servito presso il popolo per provocarvi una profonda ammirazione, erano degenerate invece così da danneggiarlo e di molto. I suoi famigliari dicevano che egli cambiava di sentimenti come

  1. «Dice che nella prigione l’aveano straniato (stregato?)» (Anonimo).
  2. Sin dopo pochi mesi del I° tribunato, si diè alle dapi succulenti, cominciò (scrive l’Anonimo, p. 92) a moltiplicare cene e conviti e crapule di diversi cibi e vini, ed agli ultimi del dicembre mise colore e carne assai e meglio manicava.