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altro; e declamasse cinto di un berretto trapunto a corone; come dopo ottenuto il trionfo dell’acclamazione popolare, si facesse chiamare prima Tribuno, poi Tribuno Clemente e Severo, non badando alla contraddizione, pur di ricordare Severino Boezio, di cui aveva adottato anzi lo stemma; e poco dopo (giocando nuovamente con quelle omonimie che sono si care agli alienati ed ai citrulli, sulla sua nomina in agosto), Tribuno Augusto (Gregorovius, volume 6°, pag. 294).
E quando ormai era destituito d’ogni potere e profugo e prigione, ei si rivolgeva al prosaico Imperatore Carlo IV, comunicandogli (come vedremo) con tutta sicurezza i suoi sogni, come fossero avvenimenti reali.
A Roma, dopo la sua prima caduta (e fu forse questa una delle cause della papale indulgenza), era ripullulato di nuovo il disordine, a cui aveva tentato inutilmente porre argine un tribuno, restato quasi ignoto, il Baroncelli; nè meglio vi riescì egli, ritornando ormai senza prestigio e senza quella baldanza giovanile, che, insieme all’eretismo maniaco, centuplicava le forze del povero letterato; e fu abbattuto dal popolo stesso. Poichè contro la forza naturale delle cose non valgono gli uomini, siano essi pazzi di genio od anche genii completi. — E non riescì a Parigi il Marcel, che disponeva di forze ben maggiori, e dell’alleanza colle campagne (Jacquerie).
Demenza. — Ma egli del resto non poteva fare nemmeno i prodigi del genio pazzesco perchè era allora disceso alla vera demenza.
Da uomo parco e sobrio che parve almeno nei primi tempi del suo governo, e per cui bisognava che si