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Come notaio si dà a proteggere i pupilli e le vedove, e assume il curioso titolo di loro Console, così come si davano a’ suoi tempi i Consoli dei falegnami, dei lanaioli, ecc.

E però, notisi, usava una penna d’argento, dicendo che tale era la nobiltà del suo ufficio da dovervisi adoperare solo quel metallo il che - a chi ben consideri, tradisce quella doppia passione dei simboli e del lusso, che poi tanto in lui giganteggiò - essendo chiaro che quell’ufficio si può esercitare nobilmente anche con una penna..... d’oca.

Nel 1343, in una delle molte rivoluzioncelle che eran abituali a quell’epoca, la plebe avea tentato abbattere il Senato, creando il Governo dei tredici sotto l’autorità papale.

In quella occasione il Cola fu mandato ad Avignone come oratore del popolo, e là vivamente dipinse le tristezze di Roma, e colla franca e potente eloquenza colpiva e seduceva i freddi prelati, da cui ottenne la nomina di notaio della Camera Urbana (1344).

Appena tornato in Roma continuò ad esercitare quella carica con una esagerazione di zelo, e facendosi chiamare Console non più delle vedove, ma Romano; sempre il primo a prevenire gli altri nella cortesia, rigido nella giustizia, e sempre trascinato in lunghi discorsi contro quelli, che egli chiamava i cani del Campidoglio.

Un giorno, in piena assemblea, in un momento di fanatismo esagerato gridò ai Baroni: «Voi siete cattivi cittadini, voi che succhiate il sangue del popolo». E rivolgendosi agli ufficiali e governatori, li avvertì che ad essi spettava provvedere al buono stato; il