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17. Classicismo. — Finalmente, per difenderci dai mattoidi della specie di Sbarbaro, dobbiamo spogliarci di quel triste retaggio degli avi, ch’è l’arcadia rettorica. Oh! quanto dovranno sorridere i nostri nipoti pensando che migliaia e migliaia di uomini hanno creduto sul serio, come qualche frammento di classico, studiato sbadigliando e per forza, e dimenticato con più facilità che non appreso, e peggio ancora, le aride regole grammaticali d’una lingua antica, siansi credute lo strumento più prezioso per acuire l’ingegno del giovane, e ciò più che non l’esposizione dei fatti che più lo dovrebbero interessare e più della ragione dei fatti stessi. E chi crederà, fra poco, che anche per fare dei buoni marinai e dei buoni capitani di linea siasi creduto necessario il latino? mentre le norme strategiche e marinaresche hanno cambiato di tanto dopo l’invenzione della polvere, del vapore, della bussola, ecc., e mentre le utili cognizioni storiche si attingerebbero egualmente nelle tradizioni! - Ma intanto si fabbricano generazioni, il cui cervello s’imbeve per molto tempo solo della forma e non della sostanza, anzi, più che della forma, (che almeno si tradurrebbe in qualche capolavoro estetico) di un’adorazione feticia della forma, e tanto più inesatta, tanto più sterile e cieca, quanto maggiore fu il tempo che inutilmente si consumava per apprenderlo, e mancando così di una solida base, si getta in braccio alla prima novazione, anche la più inesatta1.

  1. Chi ne dubitasse, ricordi il classicismo dei rivoluzionari dell’89, e legga Valles: Le bachelier et l’insurgé, e vedrà quanto contribuisca quell’educazione discorde dal tempo a farne uno spostato ed un ribelle.