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Masaniello1, garzone di pescivendolo non anco ventenne, colpito dalle prepotenze spagnuole e dalle esagerate gabelle che torturavano il popolo, fissa il chiodo sul modo di liberarlo, comincia a far cantare a dei monelli come lui alcune parole rivoluzionarie, fatte imparare a mente, parole che restavano tanto più in mente inquantochè esprimevano le più care speranze del popolo, cioè: l’olio a due tornesi senza gabella, mora il mal governo. A poco a poco quei monelli divennero cinquecento, mille, due mila, e mano mano fino 100 mila, 120 mila; e così in un tratto Masaniello si trovò padrone di Napoli. E vi governò da savio ed insieme da pazzo.

Strappò i peli al cranio del Caraffa fatto uccidere crudelmente dal popolo; e non potendo, come desiderava, aver nelle mani il duca di Maddaloni, ne guastò il palazzo, trapassò con ispilli gli occhi al ritratto del padre suo e gli tagliò la testa in effigie.

Si spinse ad abbruciare gli uffici delle gabelle, le case di chi se ne arricchiva, punendo poi chi della distruzione tentava approfittare: così per una tovaglia o per un sacco d’orzo qualche popolano fu condannato a morte.

Insieme, però, dimostrò un’abilità straordinaria: organizzò barricate; accettò, prima, il concorso dei banditi; ma quando vide che e’ volevano conservare il cavallo, prevedendo, com’era vero, qualche tradimento, li fece sterminare. Ordinò che le donne non

  1. Giraffi, Ragguagli sulla rivoluzione del Regno di Napoli, 1655. — Amadori, Napoli sollevata; Bologna, 1650.