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impulsivi a lui sì fatali, in cui trova colla chiaroveggenza incosciente del sonnambulo, la nota giusta; oppure converge le punte affilate dall’epigramma con effetti potenti; ma questi lampi sono molto rari e confusi, e finiscono col perdere ogni efficacia colle trovate che gli sgorgano negli altri momenti ben più frequenti in cui prevale la pesante e monotona logorrea, senza la più lontana scintilla d’ingegno.

«Ogni tanto una nota giusta (scrive bene di lui Dario Papa, Italia, 1885) la trova nell’acrobatismo da trapezio del pensiero convulsionario.

In lui c’è l’arena mobile di tanti sedimenti scientifici male connessi, e su quell’arena mobile non è possibile nessun edificio, che non rassomigli ai castelli di carte che si sfasciano e si ricostruiscono dai bambini».

Molti hanno notato nello Sbarbaro quel fenomeno che io diedi per caratteristico del mattoide: di mostrarsi a parole più savio assai che in iscritto.

La sua difesa al Consiglio superiore fu un capolavoro, e commosse e convinse uomini che certo non gli erano parziali.

Il suo primo discorso al Parlamento parve a tutti assennatissimo. — Anch’egli a parole seppe con mirabile disinvoltura dare una spiegazione plausibile alle sue più bizzarre trovate: ciò giova bene a spiegare il suo successo presso i meno colti.

Non è dunque l’ingegno che manca a costui, ma sono appunto l’esuberanza, l’ineguaglianza dell’ingegno, anzi, che ne segnalano la malattia, che non permettono, direi, ai cristalli dell’idea di organarsi tranquillamente, formandone un solido nucleo: non dando luogo che ad