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Per quanto più in su si rimonti nella sua vita, la nota che tu trovi ad ogni passo è la lotta, o meglio, la lite, la polemica personale, violenta, e in cui qualche nobile e grande idea tenta far capolino, ma soffocata, sempre, da una sfrenata ambizione personale, di cui quell’idea non serve che di arma o di pretesto.
Studente, a 16 o 17 anni, mena nel suo giornale, il Salvatore, violenti tirate contro il clero e la religione, sicchè Cavour, in una lettera ch’egli stesso ha pubblicata, lo esorta ad esser meno violento ed a riserbare le sue ire contro i cattivi preti e contro la Curia Romana; fatto questo assai interessante, visto che, più tardi, doveva, per amor del paradosso, diventare un arrabbiato protettore delle fraterie, e viceversa nel 1870 farsi promotore di un esaltato conciliabolo.
A 19 anni, a Voghera, al Congresso delle Società operaie, prese una parte attiva in favore delle Società operaie, e combattè fieramente Mazzini e Montanelli. E già si proponeva di salvare la dinastia. Poi scrive nella Bollente di Acqui, nel Goffredo Mameli, e nell’Italia e Popolo; fonda, poi, il Saggiatore di Savona, che durava tre anni senza infamia e senza lode, e che riempieva di polemiche locali.
Nel 1863 — a 24 anni — conseguiva la laurea, e dettava già lezioni pubbliche, pare, molto applaudite.
In quel turno, credo, dirige il Corriere delle Marche, che pullula di nuove polemiche.
A 25 anni era professore di economia politica e di filosofia del diritto a Modena: vegliava la notte e dormiva il giorno, con poco profitto, pare, dei suoi studenti; ma egli, al povero preside che mitemente ne lo