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stritolerà tutti voi, l’Auriga passerà trionfante schiacciandovi senza misericordia».

Lo stile mattesco, che gode delle ripetizioni, delle rime, spicca nelle frasi: «Ho lottato, lotto, lotterò fino alla fine, dovessi finire questa lotta col sacrificio». — E nell’altra: «Eccovi, provatevi la repubblica spogliatrice che vuole lemme lemme — affari — e sempre affari — milioni — milioni — e milioni».

E nei Framagnoni per Framassoni; e la Passera (un congiurato) passera; e nel Pericoli è in pericolo,

«Sì, noi assistemmo agli insulti di una stampa mercenaria che ha il coraggio di scrivere insulti sopra insulti, menzogne sopra menzogne, infamie sopra infamie, senza pur un’ombra di verità». — E in «Lombroso pazzo curatore di pazzi, ecc.».

Spicca ancora in alcune frasi di suo conio, stereotipate, ripetute le centinaia di volte, come per esempio Giraffa, troglodite e i guenoni, applicate ai suoi nemici, che non hanno in fondo nessun significato nemmeno odioso; e nell’intitolazioni strane de’ suoi articoli; come le cannonate di Coccapieller e quei birri di Napoleone III che egli applica ad individui che non avevano avuto il più lontano rapporto con Napoleone, individui che lavorarono a pro o contro del paese quando Napoleone era non solo caduto dal trono, ma perfino sepolto e dimenticato.

Tutti questi caratteri si vedono negli scritti dei mattoidi. Se uno in un caffè guarda in cagnesco Mangione, o se un altro nel fornirgli de’ mattoni ne dimentica una dozzina, egli pone ciò in concatenazione colle persecuzioni di Varapodio.