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XV.
Enrico, come della cambiale, seppe alla bettola che Niccolò era morto prima dell’alba. Era, ormai, stralinco; con le mani e le gambe gonfie; con la bocca livida; da cui non esciva più nessuna parola che non facesse sentire mia cattiveria quasi repugnante. Stava seduto, con un bicchiere di vino davanti. Si grattò i capelli sul collo, pieni di lendini, e disse:
— Comincio a credere che ci sia Dio! È morto prima di me, razza di un cane! Ha fatto di tutto per straziarmi; ma, questa volta, è partito prima lui! Ohè! Avete sentito quel che m’è stato detto? È morto quel farabutto di mio fratello! Ora voglio vedere stesa la sua moglie, quel pezzaccio di carnaccia e di grasso! E io non seguo