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dono, che certo non s’aspettava, e come dovette meravigliarsi della sordida avarizia d’un Istituto, creato per incoraggiare le scienze e le adempiva così mirabilmente alla sua missione!
Animati però da questo primo successo e dalla riuscita di qualche altra prova, sperando d’altra parte di ritirar più cospicui benefizii dal nuovo metodo, i soci Gleissner e Senefelder risolsero di far costrurre un torchio migliore, sempre nel genere di quello impiegato per la calcografia, vale a dire a doppio cilindro. Speravano ottenere da questa macchina delle prove più perfette di quelle ottenute fino allora; ma quale fu il loro disinganno, quando s’accorsero che non rendeva che delle stampe imbrattate d’inchiostro, malgrado ogni precauzione presa per non stenderlo fuor di misura! Avevano già distrutto il loro vecchio torchio, e non vedendo più modo di correggere il nuovo, nè potendo stare agl’impegni assunti, ne derivarono i primi contrattempi, le prime sensibilissime perdite.
Senefelder riconobbe più tardi la causa dello smacco; ma ne ebbe dapprima lo spirito così turbato, che non se ne avvide subito. Il cilindro superiore del primo torchio di cui s’era servito aveva una larga fessura, e affinchè non producesse un’interruzione di pressione durante la tiratura, Senefelder aveva cura di farla coincidere ogni volta collo spigolo della pietra; in tal modo il foglio si trovava stretto colla pietra stessa in principio della corsa; all’opposto il cilindro della nuova macchina essendo perfettamente rotondo, attiravasi il foglio di carta cominciando il movimento, lo faceva scorrere sul rilievo delle note, ed ecco perchè l’imbrattava di nero.
Immaginandosi che bisognava rinunciare al torchio a rotoli, Senefelder volle provare il torchio tipografico; ma data la voluta pressione, le pietre non resistettero e si ruppero dopo le prime copie. Durante molto tempo i suoi sforzi per ottener delle buone prove furono vani, e il poco danaro guadagnato nei saggi anteriori fu presto liquidato, dimodochè il povero Luigi ricadde nella primitiva posizione, d’ond’era stato tratto mercè i meschini soccorsi dell’amico.
Esaurito il loro avere, e non mancando che un buon torchio per giungere a risultati soddisfacenti, s’indirizzarono al sig. Falter, editore di musica, amico di Gleissner, e che aveva già manifestato il desiderio di confidargli la stampa di qualche opera. Il Falter acconsenti di fare le spese d’un nuovo torchio, i cui cilindri avevano quindici pollici di diametro ed eran muniti di un mulinello mosso da un operaio, affine di trascinare assieme la carta e la pietra; ciò che permetteva d’evitare la fregazione, causa d’insuccesso nel torchio precedente. Le previsioni di Senefelder si realizzarono, e tanto che stampava egli stesso tutto andava bene. Sgraziatamente egli non poteva supplire a tutto il lavoro della stamperia, tanto più che la faceva da scrivano, e da stampa-