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20 | Arte italica. |
tiglie. Coltivavasi il vino, e conoscevasi l’arte di filare e di tessere. Era giunta a un certo grado di sviluppo l’industria, però in ancor bassa condizione. Lavoravasi l’argilla, formandosi vasi, pigne, scodelle, tazze, ma semplicemente a mano, senza cognizione del tornio, e indurivansi i fittili al sole o al fuoco, ma in luogo aperto, non in fornace. I vasi hanno qualche varietà di forma, muniti di manichi per gran parte terminanti a mezzo cerchio, a modo di luna falcata (ved. Atl. cit., tav. III), onde il nome di anse lunate, caratteristiche dei fittili delle terramare; spesso il corpo del vaso porta alcun fregio od ornato graffito a punta, e talora rilevato nell’argilla ancor fresca, a linee, a triangoletti, a cerchielli; non si esce però mai dal carattere generale dell’ornamentazione (ved. le nostre tav. 6 e 7).
D’argilla si trovano anche in gran numero certi oggetti a forma di pallottole o di piccoli coni tronchi, perforati per il mezzo, dei quali, secondo alcuno, armavasi l’estremità del fuso, perchè fosse più agevole a prillare, e diconsi perciò fusaiuole (ved. Atl. cit., tav. II e le nostre tav. 1, 14; 2, 20); ma il loro numero talora considerevole induce a credere che servissero per vari usi, non escluso quello di pesi per le reti e chicche per collane.
Si trovano fondi di vasi d’argilla bucherellati, che sembrano aver servito come colatoi alla preparazione del cacio (ved. tav. 2, 24). Non mancano prove dell’industria dell’intrecciare canestri e panieri di vimini.
Conosciuto era l’uso del bronzo, che però i terramaricoli non fondevano essi dai nativi elementi dello stagno e del rame, ma ricevevano già formato in barre, o lingots, da genti più civili. Similmente erano importati i più degli oggetti di bronzo;