Pagina:Trattato di archeologia (Gentile).djvu/349


Plastica. 287

spesso davasi gran pregio, non per valore intrinseco ma per rarità storica; per questo rispetto estimavansi assai oggetti d’arte posseduti da uomini insigni, ed opere non finite, quando fossero lavoro di celebre maestro. È cosa evidente che tale passione si limitasse ad un ordine privilegiato di cittadini, ai ricchi dilettanti. Vuolsi tuttavia osservare che tanta copia di greche opere esposte in pubblico dovevano svegliare alcun amore e sentimento artistico anche nel popolo; e potrebbe esserne testimonianza il malcontento popolare contro Tiberio, quando aveva fatto togliere dalle Terme l’Apoxuomenos di Lisippo1. Ma era sempre un sentimento d’ammirazione per l’arte straniera, non già il destarsi d’un vero spirito artistico. I Romani ci si presentano non come continuatori dell’arte greca, ma come un popolo di Mecenati, che con la potenza e con la ricchezza diedero rinnovamento a quell’arte che nella città di Grecia decadute e impoverite più non trovava alimento. L’arte greca, dunque, spenta, come ho detto, in Grecia, ebbe sua nuova sede in Roma; ma essa aveva allora già da assai tempo percorso ogni suo grado, aveva davanti a sè un cumulo di tradizioni e di prototipi, che, soffocando ogni nativa aspirazione, produceva un lavoro di riflessione e di riproduzione. La quantità d’opere raccolte in Roma rappresentava le varie scuole che producevano uno stile accademico, senza diretta ispirazione dalla natura, ma inteso alla rinnovazione e alla ricomposizione dei pregi delle scuole antiche.

  1. Ved. Gentile, Storia dell’arte greca cit., pag. 145. Cfr. Atlante id.. tav. CXV.