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284 | Arte romana. |
B. — Plastica.
I. Osservazioni generali.
È strano il dirlo, ma vero che noi dobbiamo in gran parte la conoscenza dei capilavori antichi alla depredazione delle opere d’arte nelle città greche da parte dei Romani, anche dopo la presa di Corinto (146 a. C.). Quando la romana Repubblica ereditò da Attalo le ricchezze del regno di Pergamo (133 av. C.), furono tolte di là molte opere d’arte della sua scuola1. Nuovo bottino si trasse da Atene, da Delfi, e da altri luoghi nei saccheggi al tempo della seconda guerra Mitridatica (86 a. C.), e dalle città asiatiche, quando, per la spedizione di Lucullo e per quella finalmente vittoriosa di Pompeo, la regione dell’Asia anteriore cadde in potere di Roma. Nè solo i conquistatori, ma anche gli annuali magistrati amministratori di provincie spigolavano avidamente quanto di bello fosse rimasto. L’esempio di Verre in Sicilia è prova eloquente della rapacità di tali dilettanti d’arte. Di greche opere riempivansi gli edifizî romani dell’ultimo tempo della Repubblica; sculture arcaiche di Bupalos e di Athenis, maestri di Chio, e con esse l’Apollo Citaredo di Scopa abbellivano il tempio e la biblioteca d’Augusto sul Palatino; statue di Hegias, di Mirone, di Fidia ornavano il portico d’Ottavia; il grande gruppo dei Niobidi, opera della giovane scuola ateniese, fu collocato nel tempio di Apollo Sosiano; il grande gruppo d’Achille colle