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Osservazioni generali intorno allo stile italico. 97

in Italia, in quella parte estrema della penisola dov’era l’Enotria; e poi, in altro passo (I, 28), troviamo la tradizione d’altro storico, Ellanico, secondo il quale i Pelasgi dalla Tessaglia passarono in Epiro, e di qui, attraversando l’Adriatico, approdarono a Spina, presso le foci del Po, da dove poi si distesero verso il centro e verso il mezzodì d’Italia, fin oltre il Tevere, nel territorio di Rieti; guerreggiarono coi Siculi e cogli Umbri, e, fusi coi Tirreni, fondarono città, e si dissero Pelasgi Tirreni. Tale è pur la tradizione di Plinio (h. n., III, 8, cfr. anche Dionisio, I, 17). I Pelasgi, poi, per cause soprannaturali, per ira divina (cioè per isconvolgimenti e fenomeni tellurici), perirono, e scomparvero senza lasciar traccia di sè, senza nemmeno lasciar col loro nome designata una regione alcuna.

Questi popoli, ai quali vorrebbesi connettere le colonie di Evandro Arcade e di Ercole Argivo, stanziate dove poi fu Roma, apparirebbero, secondo la tradizione, ampiamente distesi in Italia intorno al XV secolo av. C. Ma questo popolo che, dopo esser stato tanto diffuso in Italia, scompare al tutto, esistette realmente, ha esso un vero valore storico? O piuttosto non è esso (come ormai si ammette per i Pelasgi di Grecia), altro che una complessiva designazione data ai più antichi, ai primi immigrati nella penisola italica? Essi sarebbero «gli antichi, i vecchi», secondo una delle meno improbabili etimologie dello stesso nome greco Πελασγοι (cioè οι πάρος γεγαώτες, prisci, da un tema che è in παλαιός; etimologia che troverebbe riscontro in quella del nome Greci, Γραικοί, da γεραιός, γραίος, che pur direbbe «gli antichi»). Questi Pelasgi sarebbero forse prodotti dalla supposizione d’un tal popolo primitivo da parte dei primi storici e logografi, per spiegarsi le molte affinità greco-italiche.