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62 | trattato dei governi |
gono in essere che ai due raccontati di Socrate. Perchè nessuno è, che nuovamente induca nè la comunicanza delle mogli, nè dei figliuoli; nè che le donne si ragunino insieme a mangiare: anzi, cominciansi a trattare dalle cose più necessarie. Imperocchè certi è, che stiman l’importanza di questa faccenda esser l’assettamento delle facoltà, che gli stia bene; allegando per cagione di tal cosa nascer tutte le discordie civili. Da questo indotto Falea Cartaginese, innanzi a tutti gli altri, messe in campo questa considerazione; perchè egli afferma le facoltà dei cittadini dover esser uguali.
Nè ciò pensò egli esser difficile a farsi dal principio, che le città sono abitate; ma dappoi a volerle correggere esser ben difficile impresa. E contuttociò potersi provveder con prestezza, facendo un ordine, che i ricchi dien le doti alle figliuole; e all’incontro non ne ricevino; e che i poveri non ne dieno; e all’incontro ne ricevino. E Platone nel libro delle leggi pensò, che e’ fosse bene infine a un certo che di permetter l’accrescimento delle facoltà; ma non già potersi trapassar l’argomento d’esse insino in cinque doppî; cioè non ne potessin avere se non cinque volte più di chi n’aveva pochissime, siccome io ho detto innanzi.
Ma e’ non debb’essere ignorato dai legislatori quello, che oggi non è saputo da loro; che chi vuol metter ordine alla quantità nella ricchezza, bisogna ancora, che lo metta alla quantità nei figliuoli. Imperocchè dove il numero dei figliuoli avanzerà quello della ricchezza, e’ sia di necessità di tôr via quella legge. E posto ch’ella si mantenesse, è forza, ch’ella fosse cattiva; perchè molti ricchi diventerebbon poveri: onde sarebbe pericoloso, che tali non riuscissin vaghi di cose nuove.
Che l’ugualità delle facoltà adunche possa qualcosa a far che la civil compagnia stia bene, ancora infra