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56 | trattato dei governi |
di questo, togliendo ei via la felicità dai custodi, afferma che al legislatore s’appartiene di fare la città tutta beata. Ma egli è impossibile che questo sia, se e’ non v’è la più parte dei cittadini, o tutti, o certi almeno che ne sieno partecipi. Imperocchè l’essere felice non conviene nel modo che l’esser pari; perchè il numero pari può essere nel tutto e non in nessuna parte; ma non già l’essere felice. Or se i custodi non vi fieno felici, chi altri mai di loro fia che vi possegga la felicità? perchè e’ non saranno già gli artefici, o gli uomini sordidi in questo numero. Il governo adunque della Republica, della quale ha trattato Socrate, contiene in sè questi dubbi e altri ancora di questi maggiori. =
CAPITOLO IV.
E quasi simili a questi ordini son quegli, che nelle Leggi sue furono scritti dappoi; onde fia meglio di questi ancor far considerazione: chè nel primo governo, a dir il vero, Socrate determinò molto poche cose; cioè solamente intorno alla comunion delle donne, e dei figliuoli, e, delle facoltà, e dell’ordine del reggimento: qualmente tai cose dovessino stare. Ma tutto il popolo quivi è diviso in due membri; in quello cioè dei contadini e in quello dei difensori. E il terzo membro, che d’amendue questi è composto, è quello, che consiglia, e che è padrone della città. Ma degli artefici e dei contadini se e’ dovessin partecipar d’alcun magistrato, o essere privati di tutti; o se egli avessino avuto arme, e dovessino ire ancor essi alla guerra di ciò niente deter-