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libro secondo — cap. iii. |
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non farà di molte leggi mestieri per la erudizione che egli avranno; ma solamente farà loro mestieri di leggi civili, o di forensi o curiali, e di simili; dando tale erudizione appunto ai custodi. Oltra di questo e’ fa padroni li contadini delle possessioni, volendo che e’ se ne portino i frutti; ma egli è ragionevole, che e’ diventino incomportabili e pieni d’astuzia; molto più che non sono appresso di certi gli Iloti e i poveri e i servi. Ma e’ non determina ancor nulla, se tai cose sieno, o non ben necessarie. Nè delle cose che conseguitano a queste, qualmente elle s’abbino a disporre per via del governo, e in che modo ad instruirle, nè che leggi s’abbia a por loro (nè tal cosa è agevole a ritrovarsi, nè è di poca importanza) in che modo elle debbino stare per cagione della salute dei custodi. E posto che nella sua republica e’ facesse le mogli comuni e le facoltà proprie, chi vi fia che governi la casa? siccome fanno gli uomini del governare i campi; ancora che egli abbino le donne e le facoltà comuni. —
E l’esempio dato qui delle bestie è disconvenevole, a voler cioè, che e’ si debba instruire le donne non altrimenti che gli uomini ai quali non s’appartiene la cura di casa. È ancor pericoloso l’ordine di constituire i magistrati che usa Socrate; facendo sempre i medesimi in magistrato; e questo può essere cagione di molti tumulti ancor negli uomini che non abbino dignità alcuna. Ora pensisi qualmente e’ lo susciteranno negli animosi e armigieri. E che e’ li convenga far sempre i medesimi di magistrato, è certissimo; imperocchè quel divino oro non si mescola ora a questi, e ora a quegli nell’animo scambievolmente; ma ai medesimi sempre. Anzi dice, che subito a certi da essa natività è infuso l’oro, a certi l’argento e il bronzo e il ferro a quei che hanno a essere artefici o contadini. —
Oltra