in essere un tal modo di vivere che introduce Socrate; perchè e’ non potrebbe mai constituirvi gli uomini civilmente, se e’ non vi facesse qualche divisione infra loro, o con farne insieme mangiar una parte; o con dividergli in tribù o in compagnie. Onde e’ non si cava altro di buono d’esse leggi, che l’esser vietato ai custodi la coltivazione della terra. Il che tentano oggidì gli Spartani di mettere in atto. Nè con tutti i suoi ordini manifestò però Socrate, quale dovesse essere il modo del governo infra questi per sì fatto verso comunicanti; nè e’ lo disse; e manco è agevole a ritrovarsi. Ma la moltitudine degli abitanti nella città non è altro che un numero di cittadini differenti di specie, dei quali esso niente determina. Nè determina ancora se le facoltà infra i contadini debbino essere comuni o proprie; così nè dei figliuoli, nè delle mogli loro. —
Imperocchè se e’ fa comune infra loro ogni cosa, in che saranno costor differenti dai custodi? O per quale vantaggio sopporteranno eglino l’impero? O da che erudizione saranno indotti a voler ubbidire? Se già e’ non userà un inganno simile a quello dei Candiotti, i quali avendo permesso ogn’altra cosa ai servi, solamente vietano loro l’esercitarsi nei giuochi e il maneggiamento dell’armi. Ma se queste due cose saranno lor comuni, siccome elle sono nell’altre città che modo ci fia mai di convenire insieme con loro? Che e’ conseguiterà necessariamente che in una sola città due se ne rivegga; e ben contrarie in fra loro, perchè quivi è messa una parte d’uomini; e questi sono i custodi in sicurtà e in guardia. E gli altri vi sono messi per contadini o artefici. E gli altri per cittadini. —
E le querele e le liti e tutti gli altri mali, che afferma Socrate trovarsi nelle città, in questa sua medesimamente si troveranno. E qui, dice egli, che a tali