proprie; e che l’uso le faccia comuni. E a fare i cittadini in tal modo disposti, è questo ufficio proprio del legislatore. —
Oltra di questo egli è indicibil cosa, quanto tal modo dello stimarsi le possessioni proprie avanzi l’altro modo in quanto al piacere; che non già a caso è l’amore, che ciascuno porta a sè stesso, ma è naturale. È ben vero, che l’amare sè stesso è giustamente ripreso; ma tal cosa non è amar sè stesso, anzi è uno amarsi più ch’e’ non si conviene. Come ancor si riprende l’amatore dei denari; imperocchè ogni uomo, per via di dire, è di tai cose amatore. Oltra di questo egli è cosa piacevolissima il fare de’ piaceri; l’aiutare gli amici, e i forestieri, e i compagni; il che si può mettere in atto da chi ha le facoltà proprie. —
Questi effetti adunque non intervengono dove la città è troppo diventata una; e di più v’intervien la morte di due virtuosi esercizj manifestamente; l’un, dico, dipendente dalla temperanza, essendo cosa onesta mediante lei l’astenersi dalle donne d’altrui; e l’altro dipendente dalla liberalità, la quale consiste intorno alla roba. Perchè ei non vi si potrà dire certo d’uno, che e’ sia liberale, o che egli operi alcuna azione liberale; essendo l’esercizio della liberalità intorno all’uso delle facoltà. —
Ha per tanto simil legge del bello in aspetto, e pare ch’ella abbia dell’umano; perchè chi l’ode volentieri la riceve, stimando per tal legge dover essere infra i cittadini una amicizia meravigliosa; e massimamente udendosi i rammarichii per i mali, che oggi si fanno nelle città, i quali non sono apposti ad altra cagione, che al non avere le facoltà comuni. Io dico le liti, che dai contratti infra l’uno e l’altro intervengono; e i giudicj dati sopra testimonj falsi; e le adulazioni usate inverso i ricchi. Delle quali cose mal fatte nessuna è invero, che ne segua per cagione che le