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libro secondo — cap. i. | 45 |
perio l’un l’altro, come quegli che da principio sien simili. Perchè nel comandare e nello star sottoposti scambievolmente e’ diventano come dissimili. E questo medesimo avviene in quei, che sono principi, e in magistrato; cioè, che altri a questi, ed altri a quegli ufficj vi sono proposti. — Fassi adunque manifesto per le cose dette, che la città non è atta ad esser una nel modo, che costoro affermano; e che tal ordine che è stato escogitato per cosa ottima, non è il bene della città; anzi è la sua distruzione: ma il bene di ciascuna cosa è quello, che essa cosa conserva. — Provasi questo medesimo per un’altra via, cioè, che l’unire assai la città non è il meglio; conciossiachè la casa sia più sufficiente d’un sol uomo; e che la città sia più sufficiente della casa: e che allora si dica una essere città, quando e’ v’è dentro il numero sufficiente dei cittadini. Ora se il più sufficiente è più desiderabile, ne conseguita che il meno uno di quello che è più uno, sia migliore. —
CAPITOLO II.
Ma posto, che ei fosse cosa ottima, che la città si riducesse ad unità per quanto si puote il più, non però, dico, questo apparirci per il detto di Socrate: cioè che ella si fa una, quando tutti i cittadini insieme dicono: questo è mio, e questo non è mio. E tal detto stimò Socrate, che fosse inizio della grande, e perfetta unità della sua città. Ma questo nome di tutti si piglia in due significati. Ora se e’ si piglia nel significato d’un solo, forse accadrà meglio l’intento di Socrate; perchè ciascuno può dire del suo figliuolo, che egli sia suo, e così