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libro primo — cap. viii. |
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l’esser suddito, e il comandare sieno differenti di specie: e che il più e il meno faccino differenza specifica. — E se e’ si pone, che l’uno debba avere la virtù, e l’altro no, questa supposizione avrà del maraviglioso: imperocchè come fia mai, che e’ possa comandare rettamente chi non sarà nè temperato, nè giusto? Oh come fia mai, che il suddito possa eseguir bene il suo ufficio, che di virtù sia privato? Conciossiachè essendo egli intemperato, e timido e’ non farà mai cosa che e’ debba. È pertanto manifesto, ch’egli è di necessità all’uno e all’altro il parteciparne; ma che bene tai virtù sieno differenti infra loro, siccome elle sono in quelle cose, che per natura son serve. E questo si scorge subito nell’anima nostra, perchè in essa è una parte, che per natura comanda; e l’altra, che per natura ubbidisce. Le quali parti, diciamo noi, aver la virtù diversamente: io dico della parte ragionevole, e di quella che non ha la ragione. — È manifesto adunque, che questo medesimo modo si osserva nelle altre cose; onde conseguita, che per natura si dan più modi di comandare, e più modi di star sottoposto. Chè, a dire il vero, altro modo d’imperio è quel del libero uomo inverso del servo, che non è quello del maschio inverso la femmina; e che non è quel del padre inverso i figliuoli. E tutti i detti ancora hanno le parti dell’anima, ma e’ l’hanno differentemente. Imperocchè il servo interamente ha estinta la parte discursiva: e la femmina l’ha, ma debole: e il fanciullo l’ha, ma imperfetta. — Similmente è adunque di necessità, che elle abbino delle virtù morali. E si debbe, cioè, stimare, che tutti ben ne partecipino; ma non già nel medesimo modo: ma tanto, quanto serve a ciascuno per il suo esercizio. Onde al principe fa di necessità della virtù morale in perfezione; perchè l’esercizio suo è stret-