Pagina:Trattato de' governi.djvu/271

e quanti non vi debbono essere necessariamente; se ciò, dico, si potesse, e’ si potrebbe più agevolmente insieme raccorre quanti e quai magistrati si dovessino accozzare in un solo, ma e’ si convien bene non essere ignorante quai magistrati debbino essere quegli, i quali in un luogo possino amministrare più faccende, e di quai cose stia bene, che un magistrato solo sia padrone in ogni luogo: com’è verbigrazia dell’osservare il decoro, io dico, se in mercato sta bene, che ne sia uno, che quivi prenda la cura delle cose appartenenti al mercato, o altri in altri luoghi, o un medesimo in tutti i luoghi. O se i magistrati si debbin dividere secondo le faccende, o secondo gli uomini, io vo’ dire, se e’ si debbe proporne uno sopra il vestire, e ornamenti appartenenti a’ fanciugli, e un altro sopra il vestire, e ornamenti appartenenti alle donne.

O se li magistrati nelle republiche debbono essere differenti, secondo la differenza di ciascuno stato; ovvero nessuno ne debba essere differente per questo. Verbigrazia nello stato popolare, e de’ pochi, e negli ottimati, e nella monarchia, se in tali stati cioè li medesimi magistrati vi sono padroni, ovvero sono composti d’uomini pari, nè simili: ma di diversi sieno composti in diversi stati, com’è dire, che negli stati ottimati e’ sieno composti di cittadini eruditi; in quei de’ pochi di ricchi; in quei del popolo di liberi. Oppure ne sieno certi diversi di loro natura per la diversità d’essi magistrati. E certo è, che in alcuni stati li magistrati medesimi sono utili, e in alcuni no; perchè egli è dove si conviene fargli grandi, e dove si conviene fargli piccoli.

Contuttociò e’ si danno certi magistrati propî, com’è quello, che innanzi delibera le faccende, il quale non è da stato popolare, e il consiglio è da tale stato, perchè e’ bisogna, che e’ vi sia un certo magistrato, al quale sia a cura di consigliare innanzi sopra il popolo, acciocchè