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La cagione adunche, perchè ei si dan più sorti di stati è, che le parti della città sono assai di numero. Primieramente e’ si vede, che le città sono composte di case; dipoi questa moltitudine tutta si divide in poveri, in ricchi, e in mediocri. E li ricchi, e li poveri un’altra volta si dividono in chi ha l’arme, e in chi non l’ha, e in chi lavora il terreno, in chi attende alle mercanzie, e in chi fa l’arti vili. Ancora li cittadini grandi hanno differenza infra loro per ricchezza, e per moltitudine di possessioni, come sono verbigrazia quegli che nutriscono cavalli; il che non si può fare, se non da chi è molto ricco.
Onde negli antichi tempi in quante città era la forza della loro milizia a cavallo, in tutte v’erano stati di pochi potenti, perchè allora s’usava la milizia a cavallo contra li nemici, come si costumava di fare da quei di Eritrea, da quei di Calcide, e da quei di Magnesia, da quei, dico, che erano sopra a Meandro1, e da molti altri popoli dell’Asia. Ancora oltra le differenze, che sono per via di ricchezza, cioè quella che ha la nobiltà del sangue, e quella che fa la virtù, o se alcuna altra differenza parte si trova nella città. Di che si è detto nel trattato degli ottimati, ove io ho distinto di quante parti necessarie la città è composta, perchè le dette parti alcuna volta concorrono tutte nello stato, alcuna volta ne concorre meno, e alcuna volta più.
E però è menifesto, che di necessità gli stati debbino essere differenti di specie; per la ragione che dette parti ancora infra loro sono differenti di specie. Chè lo stato invero non è altro che una
- ↑ Sulle rive del fiume Meandro.