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al medesimo che ho avuto io, perchè ei giudicò, che infra tutti gli stati buoni (per uno dei quali ei messe lo stato dei pochi potenti) il popolare fusse il più cattivo, e che infra li cattivi e’ fusse il migliore.

Ma noi pognamo al tutto per cattivi li stati detti, e di più pognamo, che non si debbe dire una sorte di stati di pochi essere migliore d’un’altra, ma bene meno rea.

Ma di tal giudizio lascisi ora il farne considerazione, che io vo’ primieramente dividere le sorti degli stati, quante elle sieno. Conciossiachè e’ si danno più sorte di stato popolare, e più sorte di stati stretti. E dipoi metterò innanzi lo stato che è più di tutti gli altri comune, e che dopo l’ottimo è maggiormente desiderabile. E dirò ancora s’altro stato si dia che abbia dell’ottimate, e che sia bene composto, e convenga a più città.

E racconterò conseguentemente degli altri quale si debba piuttosto eleggere. Chè bene in certi luoghi è forse più necessario fare lo stato largo, che fare lo stretto, e in certi è l’opposito. Dopo la quale esaminazione dirò in che modo debba acconciare un modo di vivere chi vuole tali stati ricevere; io vo’ dire in che modo egli debba assettare ciascuna specie di stato popolare, e ciascuna di stato di pochi. Nell’ultimo finalmente fatta da noi, con più brevità che si può, recapitulazione delle cose dette, mi sforzerò di raccontare quali sieno le corruzioni, e quali le seduzioni d’essi stati e in generale, e particolarmente, e donde e’ sia ch’elle avvenghino in essistati.