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manifesto se e’ si debba, dico, esercitare li giovani nelle cose utili alla vita, o in quelle che tendono alla virtù, o in quelle che tendono alla superfluità. Chè tutte queste hanno dei fautori. E in quanto a quelle che tendono alla virtù non ci è cosa alcuna concordante, conciossiachè da ognuno non sia onorata la virtù medesima, e perciò ragionevolmente si discorda nello esercizio di essa.
Non è dubbio adunche, risolvendo questa materia, che delle cose utili si debba esercitare le necessarie, ma non già tutte, e usando la divisione fatta delle opere da liberi, e di quelle, che sono da servi, è manifesto che e’ si debbono infra l’utili esercitare tutte quelle, che non faccino vile chi l’esercita. E vile opera, e da artefici si debbe dire che sia quella, e così ogni altra disciplina e arte, che fa il corpo libero di chi l’esercita disutile alle azioni virtuose, ovvero la mente o il discorso. Onde tutte quelle arti si debbono chiamar vili che fanno il corpo peggio disposto, e debbonsi chiamare opere meccaniche, imperocchè elle tengono occupato, e basso il discorso.
Ma il participare di certe scienze da liberi insino a un certo che non si disconviene, ma bene si disconviene il volerle avere in perfezione, imperocchè il fine, onde si esercita, o s’impara una simile facoltà, fa in esse gran differenza; per essere, dico, onesta cosa esercitarla per fine di sè stesso, degli amici, e della stessa virtù. Ma chi l’esercita, perchè altri se ne possa servire, molte volte apparirà s’ei le fa di basso, e di meschino animo. Le discipline adunche notate, siccome io ho detto innanzi, partecipano dell’una e dell’altranatura.