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ma un’altra volta ritornatoci su l’andrò io me’ considerando, se e’ ci è cosa da dubitare, o nò, e come e’ ci s’abbia a muovere su dubbî; che ora n’ho io fatto menzione, quanto egli è stato di necessità.

Nè forse qui sentì una tal cosa male Teodoro, istrione di tragedie, il quale non volse mai, che nessuno istrione parlasse innanzi a lui; nè ancora di quei, che non erano eccellenti, come se li spettatori si pigliassino nelli primi affronti. Chè una simile cosa accade ancora nelle familiarità, e nelle conversazioni degli uomini, e nelle altre cose tutte; cioè che noi amiamo maggiormente le prime che ci occorrono, e sieno quali elle si vogliono. Perciò bisogna allontanare da’ giovani tutte le cattive usanze, e massimamente quelle che hanno in loro o vizio, o disonestà.

Finiti li cinque anni, in quei due infino a sette si debbe cominciare avvezzargli ad imparare qualcosa di quelle che e’ sono capaci. Due sono l’età nelle quali debbe essere fatta la erudizione, una dai sette anni infino alla pube; e di nuovo dalla pube al ventuno anno. Chè chi divide l’età col settenario numero sempre non pare che faccia bene, anzi bisogna seguitare in tale distinzione la natura; conciossiachè ogni arte, e ogni instruzione voglia riempire quello che le manca.

È da vedere adunche innanzi ad ogni altra cosa, se ordine alcuno è da fare intorno ai fanciugli; e di poi se gli è meglio, che e’ sia fatta dal publico, o dal privato, come s’usa oggidì nella più parte delle città; e nel terzo luogo è da vedere di che natura e’ debba essere.


FINE DEL LIBRO QUARTO.